Joseph e Anne-Marie Sandler: Gli oggetti interni una rivisitazione (2002)
Franco Angeli, Milano
Titolo originale: Internal Objects Revisited (1998)

RECENSIONE di Ignazio Cannas

L’argomento degli oggetti interni, tema centrale dell’ultimo libro dei Sandler, continua a porre importanti interrogativi teorici e clinici. Alcune difficoltà nascono dalla stessa opera freudiana. Come ricordano nella prefazione gli autori, egli “ha limitato la nozione di oggetti interni agli introietti, visti come gli elementi che danno origine al Super-io, intorno ai cinque anni” e ha considerato le relazioni oggettuali nei termini di investimento dell’oggetto con energia pulsionale libidica; l’oggetto in questo contesto è per Freud “ciò che vi è di più variabile nella pulsione”.
Per poter parlare di una teoria delle relazioni oggettuali dobbiamo aspettare i contributi della Klein, che pone l’attenzione alle vicissitudini istintuali nel loro rapporto con gli oggetti interni, e quelli di Fairbairn, con l’ipotesi che nel bambino sia prevalente la pulsione verso l’oggetto.
Attualmente i concetti di oggetto interno e di relazione oggettuale sono profondamente diffusi all’interno delle diverse teorie psicoanalitiche e nella pratica clinica e sono usati in contesti e modi profondamente differenti. Tutto questo pone un doppio problema:

  • se è possibile integrare quella che è meglio nota come la teoria delle relazioni oggettuali con la teoria pulsionale, considerando le difficoltà e le differenze che intercorrono nella attribuzione dell’azione motivante alla pulsione, ai suoi derivati, agli affetti, ai desideri, etc.
  • come fare chiarezza fra i vari usi della relazione d’oggetto nelle diverse teorie psicoanalitiche, considerando le difficoltà a concettualizzare termini quali Sé e oggetto che rimandano a problemi più generali inerenti allo statuto della soggettività nei suoi rapporti col corpo, l’ereditarietà, l’ambiente e la cultura.

Alcuni gruppi, come gli intersoggettivi e gli psicologi del Sé, considerano queste due teorie inconciliabili, svincolandosi di fatto dalle implicazioni della metapsicologia freudiana.
Altre scuole al contrario – principalmente i Kleiniani, gli Indipendenti, gli psicologi dell’Io – ritengono possibile e necessaria una conciliazione e integrazione fra la teoria della relazione oggettuale e quella degli istinti.
Il libro dei Sandler si inserisce a pieno titolo nel secondo gruppo e descrive il percorso degli autori all’interno dei contemporary freudians.
Per comprendere il modello teorico proposto dagli autori mi sembra utile soffermarci su alcuni punti chiave.
1. Il primo riguarda il delicato argomento della motivazione e dei rapporti non sempre chiari che intercorrono con le pulsioni, gli affetti, i bisogni e i desideri. Occorre ricordare che nel lavoro freudiano si succedono, spesso senza sostituirsi, diversi modelli pulsionali e differenti concezioni sugli affetti.
Partendo da una critica di Anna Freud a un suo lavoro sui sentimenti di sicurezza del 1959 – nella quale Anna Freud sottolineava la centralità del bisogno pulsionale, espressione delle esigenze dell’Es, rispetto al bisogno di sicurezza – Sandler riassume un suggestivo percorso intellettuale durato 40 anni, volto a considerare come in certi momenti i bisogni di sicurezza possano prevalere su quelli istintuali. Una tale concezione implica un ruolo primario degli affetti – che vengono considerati come esperienze soggettive centrali, in contrasto con la teoria degli affetti essenzialmente come prodotto della scarica istintuale – e l’ipotesi di una “unità motivazionale” di base costituita dall’interazione fra le rappresentazioni del Sé e quelle dell’oggetto, nel desiderio o nella fantasia di desiderio inconscia.
La fantasia inconscia assume quindi la forma di desideri specifici di relazioni gratificanti, del Sé con gli oggetti significativi, cioè di relazioni fantasticate e desiderabili fra rappresentazioni del Sé e rappresentazioni oggettuali.
Il concetto di fantasia inconscia, come si potrà notare, si discosta almeno in parte da quello kleiniano perché non è vista solo come rappresentazione dei derivati delle pulsioni libidiche e aggressive.
2. L’individuo inconsciamente tenta di soddisfare i desideri attualizzandoli nelle relazioni con oggetti reali, nel qui e ora. In questo modo realizza una “identità di percezione” con le relazioni d’oggetto desiderate e fantasticate, che sono i derivati spesso ampiamente deformati dell’interazione fra il Sé e gli oggetti interni.
Il concetto di identità di percezione è ripreso dal capitolo sette dell’interpretazione dei sogni. Freud lo utilizza insieme al concetto di identità di pensiero per mostrare un tipo di funzionamento del processo primario in contrapposizione col processo secondario. L’identità di percezione lega la traccia di un soddisfacimento istintuale con la rappresentazione di un oggetto. Scopo del desiderio primitivo è quello di risperimentare, attraverso la percezione, una situazione del passato che aveva permesso la gratificazione. Il soggetto ripete la percezione legata al soddisfacimento del bisogno attraverso l’allucinazione primitiva. Il pensiero secondario si sviluppa come trasformazione del desiderio allucinatorio attraverso la negoziazione – nel continuo confronto fra l’assenza e la presenza dell’oggetto – che porta alla prevalenza del principio di realtà sul principio di piacere. Nel passaggio dall’identità di percezione all’identità di pensiero.
Con l’identità di percezione i Sandler mostrano come Freud sembra uscire dal campo economico a favore di una equivalenza fra rappresentazioni.
3. Questo permette di collegare i desideri inconsci con le relazioni oggettuali. In luogo dell’espressione delle pulsioni e dei loro derivati si ha una interazione desiderata con un oggetto, e la fantasia di desiderio include la reazione dell’oggetto all’azione desiderante dell’individuo.
L’individuo inconsciamente tenta di indurre una azione complementare da parte degli oggetti significativi; nello stesso tempo si sintonizza inconsciamente sulla “rispondenza di ruolo” di tali oggetti.
Tutto questo diviene particolarmente evidente nel transfert che contiene non solo l’attualizzazione di una fantasia inconscia ma anche il tentativo di indurre una corrispondenza di ruolo. Se l’analista è capace di tollerare la rispondenza di ruolo – riconoscendo il proprio controtransfert – il desiderio inconscio può essere compreso e interpretato come fantasia inconscia nel qui ed ora.
Possiamo dire che la rispondenza di ruolo è il modo con cui il paziente esercita inconsciamente una pressione sull’analista per indurlo ad adattarsi inconsciamente al ruolo che desidera attribuirgli.
Il paziente non si limita a proiettare o esternalizzare nel transfert ma tenta di manipolare e di provocare situazioni specifiche. Fra le varie forme in cui l’analista è coinvolto nella relazione, Sandler distingue la “rispondenza liberamente fluttuante” che distingue chiaramente dalla “rispondenza di ruolo” e dalla “attenzione liberamente fluttuante” (o attenzione ugualmente distribuita). La “rispondenza liberamente fluttuante” può essere presa come misura della partecipazione dell’analista. In questo senso certi comportamenti dell’analista non sono considerati solo macchie cieche ma un compromesso fra le proprie tendenze e inclinazioni e la relazione di ruolo che il paziente sta inconsciamente cercando di imporgli. La relazione di ruolo fa parte di una fantasia inconscia, è un derivato di fantasia di una relazione interna Sé-oggetto strutturata.
La rispondenza di ruolo per gli autori è un importante ampliamento del concetto di controtransfert e svolge una funzione complementare all’identificazione proiettiva kleiniana in quanto integra gli affetti e il comportamento indotti inconsciamente dal paziente nell’analista, con la disposizione dell’analista a entrare in risonanza. Può inoltre a mio parere aiutare a fare chiarezza intorno a concetti come enactment e simmmetria-asimmetria nella coppia analitica in quanto valorizza il momento della rielaborazione da parte dell’analista.
Il ruolo degli affetti, il concetto di identità di percezione e la rispondenza di ruolo sono la base del loro modello di sviluppo delle relazioni oggettuali. A partire da uno stato narcisistico iniziale nel quale è immerso, il bambino fa esperienza di stati emotivi che si presentano inizialmente in uno stato relativamente caotico di sentimenti e sensazioni piacevoli e spiacevoli, che solo gradualmente si organizzano come oggetti affettivi primari cui seguiranno le prime rappresentazioni di Sé e dell’oggetto sempre più distinte. Dalla primissima interazione madre-bambino, si formerà un mondo interno di relazioni oggettuali desiderate e temute, che verranno gradualmente elaborate e trasformate in una matrice inconscia relativa all’interazione Sé-oggetto.
L’oggetto interno, in tale contesto, viene considerato come una struttura non esperenziale, al di fuori dell’esperienza soggettiva conscia e inconscia. Tale struttura si è formata durante lo sviluppo ed è profondamente influenzata dalle percezioni soggettive e dalle fantasie del bambino. “Gli oggetti interni, a loro volta, influenzano la percezione, il pensiero, la fantasia, le relazioni con le persone nella vita quotidiana, il transfert e molti altri aspetti dell’esperienza e del comportamento.”
I Sandler, seguendo la tradizione della psicologia dell’Io, distinguono nettamente il mondo dell’esperienza conscio e inconscio – costituito dal contenuto fenomenico di desideri, impulsi, ricordi, fantasie, sensazioni e sentimenti – dalle strutture percettive e cognitive non esperenziali, che permettono lo sviluppo delle relazioni oggettuali e fanno parte insieme ai meccanismi e agli apparati, alle strutture organizzate, biologiche e psicologiche, agli organi di senso, alle forze e ai mezzi di scarica del mondo non esperenziale.
La relazione oggettuale interna, in questo senso, viene concepita come una relazione intrapsichica che trova espressione nelle rappresentazioni mentali che sono parte integrante del desiderio insoddisfatto e della fantasia di desiderio.
Nel libro il loro modello delle relazioni oggettuali viene applicato per riesaminare alcuni aspetti dei tratti di carattere, visti come tecniche che sono sviluppate inconsciamente dal soggetto per evocare specifiche risposte di ruolo nell’altro. L’angoscia dell’estraneo viene riconsiderata con l’intento di mostrare il dialogo inconscio che si crea in fantasia con l’oggetto e col proprio Sé, alla ricerca di rassicurazione e di conferma. I movimenti di transfert-controtransfert infine vengono analizzati nell’interazione fra due persone, attraverso i sottili processi di internalizzazione e esternalizzazione reciproca.
Concludo sottolineando che nella lettura ho apprezzato particolarmente la capacità degli autori di proporre due percorsi spesso intrecciati. Il primo, interno ai contemporary freudians, teso a integrare la teoria delle relazioni oggettuali con la psicologia dell’Io, rimanda alle proprie teorie – alla necessità di rielaborare certi concetti come per esempio l’Io impersonale delle strutture distinto dal Sé rappresentazionale o il significato dato a costruzione e ricostruzione – e ai propri maestri, come nel confronto a distanza con Anna Freud.
Il secondo, aperto al confronto con i Kleiniani e gli Indipendenti, è attento all’uso differente di alcuni concetti (vedi per esempio la fantasia inconscia o l’uso dei termini identificazione e introiezione) e alla possibilità di confrontare e sovrapporre concetti diversi nati nel contesto di teorie differenti (vedi Rispondenza di ruolo e identificazione proiettiva), in un tentativo di arricchimento reciproco che evita le semplificazioni e il facile eclettismo.