Un film potente, anche visivamente, che trascina lo spettatore, senza mediazioni, all”interno di una vicenda distopica: la guerra civile negli Stati Uniti d’America
Il conflitto è scoppiato senza specifiche ragioni politiche come ogni conflitto, bellissima la scena iniziale in cui l’immagine del Presidente è continuamente sfocata come a dimostrare l’imprendibilità e l’inconsistenza degli uomini che ci governano. La vicenda viene raccontata dall’intermo da un gruppo di giornalisti e fotoreporter di guerra i bravissimi Lee: Kirsten Dunst,
Joel: Wagner Moura,
Jessie: Cailee Spaeny,
Sammy: Stephen McKinley Henderson. Loro vogliono lasciare una testimonianza dei fatti che possa diventare storia aldilà degli infingimenti del potere o della parzialità del racconto dei fatti, che prevale anche oggi, tra censure, continui spostamenti della prospettiva, falsificazioni, messaggi subliminali.
Lo scorrere del film è continuamente intervallato dagli scatti dei fotografi, vogliono testimoniare cosa accade, i volti, il terrore l”insensatezza della violenza, l’attimo della morte. La confusione è dominante, chiunque può essere un nemico, il viaggio dei quattro è un attraversamento di un mondo frammentato, in preda ad un delirio paranoico, la psicosi diventa la vera identità o disidentità di tutti.
Quando dei cecchini sparano addosso ai giornalisti:” Non sai per quale parte combattono?», chiede il giornalista, «Qualcuno sta cercando di ucciderci. E noi stiamo cercando di uccidere loro», risponde il soldato.
In una delle scene più forti e simboliche un soldato, uno straordinario Jesse Plemons,
non si sa con chi è schierato ma non conta nulla(sic!), davanti ad una fossa comune ricolma di cadaveri, decide di uccidere a bruciapelo solo in base alla domanda” Di che parte dell’America sei?”
Questo sviluppo della storia rimanda ai nazionalismi esasperati ma perfino ai più piccoli conflitti che oramai caratterizzano tutti i rapporti sociali. Il bisogno narcisistico onnipotente di dominare l’altro, che nasconde invidia, depressione, inadeguatezza. Nel film il mondo è dominato dall’Es, solo la natura, che intravediamo durante il viaggio verso Washington, regna sovrana, silente, e altera assiste, allo sfacelo della società degli umani. Gli unici che guardano e tentano di documentare il male del mondo sono i quattro giornalisti, ma la violenza cui assistono non permette di essere solo testimoni della follia dominante, a anche la difesa professionale viene travolta dalle atrocità e insensatezza. Anche nell’attuale siamo esposti continuamente ad una serie di efferatezze che però arrivano come normalizzate, nulla deve produrre un affetto, un dolore una protesta. Oggi nel vedere o ascoltare notizie o eventi sembra di trovarsi di fronte alla macelleria di un film porno e alla assoluta assenza di un incontro, di uno scambio, ma solo allo sviluppo di una quota eccitatoria mortifera che illude e si consuma in un attimo. Anche nel lavoro analitico con i pazienti incontriamo relazioni sempre più frantumate, famiglie implose , contrapposizioni non mediabili ed un esplosione di malessere, disperazione e di violenza, soprattutto nei giovani, che spesso sembra essere la cifra principale di una società senza futuro, con un tempo immobile. Senza la possibilità e la capacità di simbolizzare, tutto diviene agito non pensato.
Il potere facilita, se non promuove, il diniego dei problemi e delle angosce, attraverso una semplificazione, una banalizzazione, con un incitamento ad una ipervitalizzazione, con difese maniacali organizzate.
Tutto ciò per negare il tempo e la caducità dell’esistenza, che è perturbante, in cambio, il potere dominante, offre presunte libertà: “ogni cosa è possibile, ogni bisogno deve essere assolto”. Insomma chiunque può essere un altro/a senza essere mai stato se stesso/a.
I confini ed i ruoli sono aboliti, vengono “creati”, offerti perfino, “guru” come apostoli di un pensiero alternativo e progressista: psicoanalisti d’élite che scrivono su tutto, fantomatici poeti che verseggiano pensierini che sono la negazione di quel indicibile cui la poesia rimanda e cerca di dare voce, interpreti della politica che riempiono copertine e video con i loro pareri urlati.Tutto questo va incontro alle difese del gruppo sociale, e produce ancora più danno e diniego, con il loro falso essere “contro”, legati collusivamente al potere, che se invece fosse identificato un nemico reale che potrebbe essere contestato e combattuto. Chiunque non la pensa come me è un nemico, non un altro con cui confrontarsi o anche discutere., semplicemente non esiste
Il film rappresenta bene l’insensatezza della guerra, il fatto che non ci sia nessuna ragione politica o di popolo che la giustifica, ma solo il prevalere di una pulsione di morte distruttiva che non riconosce alcun godimento, se non quello della passivizzazione dell’altro, sempre dei piu deboli, in cui si proiettano i propri aspetti temuti o denegati.
Un film che scuote e interroga la parte finale è cosi intensa che sembra impossibile allo spettatore di salvarsi o di difendersi da un esplosione pulsionale senza alcuna sospensione o salvezza.
Colonna musicale perfetta e di grande impatto
Un film da vedere